La malattia di Alzheimer e la valutazione neuropsicologica


La malattia di Alzheimer è una delle forme più comuni di demenza degenerativa, la cui comparsa si attesta prevalentemente in età presenile e nel 60-70% dei casi si pensa sia dovuta ad Alzheimer’s  Disease (AD). La patologia venne descritta per la prima volta nel 1906, ma a tutt’oggi la causa e la progressione della malattia di Alzheimer non sono ancora ben compresi. In letteratura essa è associata a placche amiloidi e ammassi neurofibrillari presenti nel cervello, ma non si conosce la causa primaria della degenerazione, pertanto, sebbene siano stati utilizzati diversi trattamenti terapeutici e siano stati condotti diversi studi clinici, non è ancora stato possibile individuare un trattamento che rallenti o inverta il decorso della malattia (Tiraboschi P. et Al., 2004).

Oggi si ritiene che un’alta percentuale di rischio sia legata anche a fattori genetici, ma può insorgere anche in seguito a traumi, ipertensione o depressione. In ogni caso, per avere una sicura diagnosi di Alzheimer occorre fare una biopsia del tessuto cerebrale, dopo che test cognitivi con imaging medico ed esami del sangue abbiano escluso altre cause patologiche.

E’ importante anche fare un discorso di tipo preventivo, anche se non ci sono prove che uno stile di vita caratterizzato da stimolazione mentale, esercizio fisico e dieta equilibrata possa costituire una modalità di possibile prevenzione o di gestione della malattia (NIA, 2006).

Il fatto che la sua diffusione sia in crescendo e che le terapie disponibili siano poco efficaci con enormi ricadute in termini di dispendio di risorse per la sua gestione, soprattutto da parte dei familiari dei malati, la rende una delle patologie a più grave impatto sociale.

Per quanto riguarda il decorso clinico, un primo campanello di allarme è rappresentato dalla difficoltà nel ricordare eventi recenti, a questo poi, con l’avanzare dell’età si aggiungeranno il disorientamento, i cambiamenti repentini di umore, la depressione, diversi problemi comportamentali e l’incapacità di prendersi cura della propria persona fino ad arrivare poi alla perdita delle capacità mentali di base. In genere, i primi sintomi vengono attribuiti erroneamente a problematiche legate all’età o, a volte, allo stress, per cui nel caso si abbia il dubbio è bene procedere, come s’è detto, ad un imaging a Risonanza Magnetica, dopo avere svolto valutazioni comportamentali e test cognitivi.

In considerazione del fatto che per la Malattia di Alzheimer non sono attualmente disponibili terapie risolutive e il suo decorso è progressivo, la gestione dei bisogni dei pazienti diviene essenziale. Nella maggior parte dei casi è il parente più stretto che prende in carico il malato ed il compito è molto arduo in quanto coinvolge tutti gli aspetti della vita del caregiver.

In letteratura, il decorso della malattia viene diviso in quattro fasi, che prevedono un progressivo deterioramento cognitivo e funzionale. La malattia è preceduta da una fase detta di pre-demenza, i cui sintomi vengono attribuiti, come sottolineato già precedentemente, all’invecchiamento o allo stress (Wademar et Al.,2007). In questa fase è possibile effettuare dei test neuropsicologici finalizzati alla rilevazione di difficoltà cognitive che si presentano già otto anni prima che una persona presenti le caratteristiche cliniche necessarie alla diagnosi di AD. Questi primi sintomi possono influenzare la vita quotidiana e si traducono in una difficoltà della memoria a breve termine e nell’incapacità di acquisire nuove informazioni. A questi sintomi si associa anche l’apatia, che è il dato clinico neuropsichiatrico persistente che accompagnerà l’intero decorso della malattia. La fase pre-clinica viene spesso evidenziata come Mild Cognitive Impairment (MCI) ed è pari ad un momento di transizione tra il normale invecchiamento e la demenza che si può presentare con svariati sintomi e, quando il sintomo prevalente è la perdita di memoria, prende il nome di MCI Amnesico, considerato, sovente, come l’anticamera dell’AD (Grundman et al., 2004).

La seconda fase, ovvero quella iniziale, può essere caratterizzata da una diminuita coordinazione muscolare, difficoltà nel linguaggio, nella percezione o nell’esecuzione di movimenti complessi e difficoltà crescente nell’utilizzo della memoria. In effetti, è stato osservato che la memoria episodica, quella semantica e quella implicita sono colpite in minore misura rispetto a quella a breve termine. In questa fase si assiste ad un impoverimento del vocabolario e ad una diminuzione della scioltezza del linguaggio con conseguenti ripercussioni nel linguaggio orale e in quello scritto (Taler-Philips, 2008); in più cominciano ad esserci dei problemi nell’esercizio della scrittura, nella coordinazione dei movimenti e nella pianificazione dei movimenti complessi.

Quando si giunge alla fase intermedia, la terza, si osserva: che i malati non sono più in grado di svolgere adeguatamente le loro attività quotidiane in modo indipendente, che le difficoltà linguistiche si fanno più evidenti e lettura e scrittura vengono messe da parte; che le difficoltà di coordinazione dei movimenti portano all’aumento del rischio di cadute e, soprattutto, che peggiorano i problemi di memoria fino al punto che la persona potrebbe cominciare a non riconoscere i parenti più stretti. E’ sempre in questa fase che si fanno evidenti i cambiamenti comportamentali e neuropsichiatrici, per cui può capitare che l’irritabilità si trasformi in rabbia da sfogare contro i propri caregivers, anche perché i malati perdono la consapevolezza della propria malattia e dei limiti che essa porta con sé. Quando si giunge alla quarta ed ultima fase, il paziente ha perso completamente l’autonomia, il linguaggio è ridotto al minimo e tende a scomparire del tutto, è capace di dare segnali emotivi diversi, ma le caratteristiche principali sono comunque la stanchezza e l’apatia e, approssimandosi al decorso finale della patologia, si perde totalmente l’autonomia dal momento che la diminuzione della massa muscolare e il deterioramento della mobilità costringono la persona a letto, rendendolo persino incapace di nutrirsi. Di solito la morte sopraggiunge per un fattore esterno, quale una banale influenza o un’infezione.

Gli studi sulla malattia hanno dimostrato, ormai da tempo, che tranne in rare forme genetiche familiari di “early-onset”, il fattore maggiormente legato alla sua incidenza è quello dell’età: in effetti è difficile che si manifesti al di sotto dei 65 anni e la sua incidenza si fa maggiore con l’avanzare dell’età, per raggiungere cifre elevate nella popolazione oltre gli 85 anni.Da quanto si può desumere da rilevazioni europee, l’incidenza si attesta su 2,5 casi ogni 1000 persone per la fascia d’età tra i 65 e i 69 anni, per salire a 9 su mille per quelle tra i 75 e i 79 e a 40, 2 su mille per le persone tra gli 85 e gli 89 anni (Bermejo-Pareja et Al., 2008).

Come si può ben immaginare, il continuo incremento della patologia in tutte le parti del mondo è accompagnato dall’aumento del suo costo economico e sociale: secondo Lancet il costo economico annuale per la cura dei pazienti affetti da demenza è di 600 miliardi di dollari ed è destinato ad aumentare dell’85% per il 2030, tanto da diventare uno degli oneri maggiori per i sistemi sanitari nazionali e per l’intera comunità mondiale (The Lancet Neurology, 2010). Nonostante queste funeste previsioni, la ricerca sulla demenza continua ad essere posta in secondo piano, pertanto, ancora oggi, nella maggior parte dei casi di Alzheimer la causa rimane sconosciuta e il morbo viene diagnosticato sempre in ritardo rispetto alla sua stessa insorgenza.

Valutazione Neuropsicologica, SI !!!! La prevenzione quindi del declino cognitivo, è un punto chiave per contenere e ridurre il carico sociale e psicologico, sia del paziente che dei caregivers. Diventa, perciò, indispensabile valutare preventivamente il funzionamento cognitivo così da poter caratterizzare ed interpretare i possibili deficit neuropsicologici. Ragion per cui, valutare accuratamente ed a tempo debito l’esordio di un declino cognitivo risulta essere cruciale al fine di impostare tempestivamente un programma di riabilitazione cognitiva, unitamente ad un trattamento farmacologico, che rallenti il più possibile il decorso della sintomatologia ed, allo stesso tempo, mantenga il più a lungo una buona qualità di vita.

Le diverse batterie di test formalizzati, attualmente utilizzate durante un esame neuropsicologico, hanno una elevata capacità diagnostica discriminativa, al punto tale da essere essenziali non solo per riuscire a fare diagnosi nelle fasi pre-cliniche della malattia, ma anche per differenziare e diagnosticare i differenti sottotipi di demenza.Valutazione NeuroPsicologica AD

La sfida perciò che gli esperti in neuropsicologia dovranno sostenere in futuro è, essere in grado di riconoscere il decadimento cognitivo prima che esso si manifesti ed elaborare una diagnosi tempestiva e dettagliata. Questo consentirà l’impostazione di protocolli di riabilitazione cognitiva studiati ad hoc sul paziente per potenziare le performances neuropsicologiche dello stesso e permetterà la monitorizzazione della progressione del quadro clinico-cognitivo. Inoltre, permetterà l’attuazione anticipata di programmi di formazione ed informazione, nonchè di psico-educazione e di supporto, volti ai principali caregivers.

Dr. Opipari Carlo

Psicologo Neuropsicologo clinico evilutivo-adulti-anziani

Catanzaro-Sellia Marina-Crotone

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Riceve presso lo studio della Dr.ssa Lombardo